13 marzo 2007

P2P ed equo compenso: mari e Monti

Leggo sempre con interesse gli articoli dell'avvocato Andrea Monti.
Lo conosco molto bene professionalmente, avendolo seguito dai tempi di Alcei e per tutte le successive evoluzioni (ICT Lex soprattutto), e molto meno bene personalmente (ci siamo incrociati più di una volta... ma sono sicuro che per strada non mi riconoscerebbe).
Mi piacciono soprattutto i suoi contributi su PC Professionale, mensile con il quale collabora da molti anni.

Ecco il punto: sul più recente numero di PC Professionale (n. 192 di Marzo 2007), Monti commenta con la solita chiarezza la sentenza della n. 149/07 della III sez. Penale della Corte di Cassazione, salita agli onori delle cronache per essere stata oggetto di clamorose sviste interpretative e di piccoli incidenti di percorso anche ad opera di noti colleghi. A chiusura del pezzo, tuttavia, propone una visione a mio avviso eccessivamente ampia della disciplina della "copia privata", arrivando ad includervi anche il download (solo il download, senza condivisione!) da internet a scopo privato di materiali protetti dal diritto d'autore.

La tesi di Monti è più o meno questa (l'avvocato mi perdoni la semplificazione): visto che esiste una previsione come il 71-sexies LdA che legittima la riproduzione privata di fonogrammi o videogrammi e visto che la legge prevede comunque una forma di "equo compenso" per i detentori dei diritti, qualora una persona fisica scaricasse *senza condividere* musica o film per uso esclusivamente personale e li masterizzasse su supporti per i quali è stato pagato l'equo compenso, allora non sarebbe nemmeno applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'articolo 174-ter LdA.

Molto modestamente, non sono d'accordo.
Premesso che, come sapranno quei pochi che hanno avuto la ventura di leggere i miei interventi in materia (specie, questo), sono uno strenuo difensore del diritto alla copia privata e rimarrò sempre critico nei confronti del silenzio intorno a questo istituto e dell'ambigua comunicazione contro la pirateria, credo tuttavia che l'articolo 71-sexies ponga limiti ben precisi, i quali non possono essere interpretati con eccessiva elasticità.

In particolare, l'articolo di legge parla di "riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto". Ora, nonostante la terminologia un po' arcaica, "fonogrammi e videogrammi" non possono essere accomunati tout-court alle "opere dell'ingegno", avendo in questo contesto il significato di (rispettivamente) "supporti per veicolare opere musicali e opere cinematografiche". L'ipotesi considerata è quindi quella del lecito possesso da parte di un privato di un CD originale o un DVD originale (o supporti analoghi): nel caso del download, invece, da un lato, non esisterebbe una "riproduzione di fonogrammi o videogrammi" (almeno se non vogliamo estendere il significato, fino a ricomprendervi anche i file mp3 o simili) e, soprattutto, dall'altro lato detto accesso non sarebbe "legittimo", perché in un sistema di condivisione nessuno può legittimamente mettere le proprie opere a disposizione di terzi.
In internet, l'unica ipotesi nella quale un soggetto metta a disposizione di terzi materiali coperti dal diritto d'autore per il loro scaricamento è quella nella quale detto soggetto abbia l'autorizzazione del titolare dei diritti. In questo caso, tuttavia, siamo al di fuori della previsione ex articolo 71-sexies, la quale come noto è invece un'eccezione alla regola generale che subordina ogni atto di riproduzione dell'opera al consenso dell'autore o titolare.

Concludo dicendo che l'interpretazione dell'avv. Monti è espressamente definita dall'autore stesso come un'opinione personale "non ancora collaudata in giudizio", a conferma dell'onestà intellettuale e dell'assenza di principi univoci in materia.

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Là su Marte (o l'Assumm'Arte)

A volte fare l'avvocato è un gran casino. Sì, perché contrariamente a quanto mi ero immaginato da bambino guardando Perry Mason, non sempre "il tuo assistito" è un innocente ingiustamente accusato ed è quindi un piacere (oltre che un dovere professionale) difenderlo, come si dice, a spada tratta.
A volte, come dicevo, ti tocca un po' convincerti di stare veramente dicendo una cosa "giusta". Tanto che rimango spesso piacevolmente stupito dell'abilità con la quale alcuni colleghi sono in grado di sostenere tesi quantomeno "impopolari".

Prendiamo ad esempio l'intervista a Giorgio Assumma, presidente della SIAE del dopo-commissariamento, pubblicata qui. Sinceramente, trovo quasi "artistica" l'abilità con la quale l'avvocato riesce a dribblare le domande dell'intervistatore, fornendo risposte formalmente e giuridicamente corrette ma, ad un tempo, sostanzialmente e logicamente inaccettabili per il consumatore medio.

Per una volta, quindi, provo a spogliarmi dei panni del professionista che si occupa di Proprietà Intellettuale e tento di rispondere "da consumatore informato" a quanto affermato da Assumma: «Chiamare tassa l’equo compenso è un errore gravissimo».

Sarà anche un errore terminologico gravissimo. Ma la sostanza è quella: l'equo compenso colpisce direttamente i consumatori di "supporti di registrazione vergini, analogici e digitali, dedicati (audio e video) e non dedicati comunque idonei alla registrazione di fonogrammi e videogrammi" (vedi qui). Quello che infastidisce "noi consumatori" è che la Direttiva 2001/29/CE, prima, ed il Decreto Legislativo n. 68 del 2003, poi, mettono in strettissima correlazione l'equo compenso, la copia privata e le cosiddette "misure tecnologiche di protezione efficaci" (articolo 102-quater LdA). Il ragionamento del Legislatore Comunitario è più o meno questo:
  • come Unione Europea, riteniamo che il diritto d'autore debba essere protetto massimamente, ma che debba anche essere favorita una qualche forma di libera fruizione delle opere ad uso strettamente personale;
  • pensiamo quindi sia "equo" consentire alle persone fisiche di farsi una copia ad uso personale dei supporti contenenti musica o film dei quali entrano legittimamente in possesso, a patto che venga pagato un altrettanto "equo" compenso ai titolari dei diritti;
  • consideriamo legittimo, ed anzi proteggiamo con adeguate sanzioni atti elusivi, che i titolari proteggano i supporti con "misure tecnologiche di protezione efficaci". Tuttavia, "il livello dell'equo compenso deve tener pienamente conto della misura in cui ci si avvale delle misure tecnologiche di protezione contemplate dalla presente direttiva. In talune situazioni, allorché il danno per il titolare dei diritti sarebbe minimo, non può sussistere alcun obbligo di pagamento" ("considerando" 35 della Direttiva 2001/29/CE).
A questo punto qualcosa, per me "consumatore medio" smette di quadrare perché quando acquisto un CD musicale o un film in DVD trovo sempre "misure tecnologiche di protezione efficaci" che mi impediscono di esercitare il diritto alla copia privata che giustifica l'"equo compenso" e quando acquisto CD o DVD vergini per il backup dei dati, per le foto di mia figlia, per i filmini delle vacanze, pago sempre e comunque l'"equo compenso".

Quindi, delle due l'una:
  • o non (mi) mettete le "misure tecnologiche di protezione efficaci", in modo che io possa effettuare legittimamente una riproduzione privata ex articolo 71-sexies LdA, pagando il dovuto sotto forma di "equo compenso"
  • o non eliminate detto "equo compenso", perché non si capisce più cosa vada a compensare, vista l'ubiquità dei sistemi di protezione.
Ricordo infine che l'"equo compenso" non è una tassa contro la pirateria. Non lo è mai stato e non può giustificarsi in questo modo.


NOTE: chi fosse interessato all'approfondimento della tutela giuridica dei sistemi di protezione e gestione dei contenuti digitali (meglio conosciuti come DRM), può cercare un articolo del sottoscritto e dell'avv. Marco Scialdone, apparso sulla rivista RDEGNT (Anno II, n. 1), dal titolo "I sistemi di Digital Rights Management: limitazione od opportunità?". Nell'articolo provavo a sollevare un interrogativo non irrilevante: visto che il principio alla base del diritto d'autore è quello del do-tu-des, in forza del quale l'autore viene premiato con un monopolio legale in cambio del fatto che, alla scadenza del termine di sfruttamento esclusivo, l'opera entri in regime di pubblico dominio, che ne sarà allora di tutte quelle opere protette oggi da misure anticopia? Siamo forse di fronte ad un "contratto sociale" (il citato do-ut-des), nel quale una parte è dichiaratamente e fin da subito inadempiente (do-ut-teneas)? :-)

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